Una comunità di valore: la piccola filiera della carne

Eurocarni n°6, 2020

Articolo di Monti Francesca

Rubrica: attualità

Viviamo un momento in cui le nostre certezze vengono costantemente messe in discussione dall’instabilità di un evento incontrollabile e quasi indecifrabile, all’interno del quale il settore alimentare è stato chiamato a continuare a muoversi e a produrre. In particolare, la filiera della carne ha affrontato una sfida ancor più grande, quella di rispondere all’emergenza insieme, in modo coordinato, consapevole del fatto che il proprio operato influenzava quello degli altri componenti.

Il settore ha reagito con estrema flessibilità, ma come ha fatto?

Quali sono le dinamiche preesistenti che sono emerse e i comportamenti che in maniera inconfondibile hanno caratterizzato la dinamicità della filiera? Come possiamo individuarli e costruire un’idea di futuro?

Questa è un’occasione per fermarsi a riflettere, intercettare i bagliori di cambiamento e approfondire ciò che attuato in pratica sta cambiando completamente la prospettiva umana del settore. La filiera della carne, con particolare riferimento alla piccola distribuzione, si può considerare artigianale in quanto il valore è intrinseco alle capacità dell’uomo, alla sua conoscenza e manualità.

È artigianale perché spesso si fonda su saperi e modus operandi che vengono tramandati da generazioni e perché le peculiarità dei luoghi vengono mantenute e diventano parte del capitale culturale del settore.

Negli ultimi vent’anni in particolar modo siamo stati abituati a pensare che la società della conoscenza abbia un impatto maggiore sia sul piano sociale che intellettuale e per questo abbiamo ritenuto i lavori concettuali più soddisfacenti. La storia del filosofo e meccanico Matthew Crawford, raccontata nel suo libro Il lavoro manuale come medicina dell’anima (2010), rivaluta le capacità manuali e fornisce una nuova prospettiva di sistema.

Crawford decise di abbandonare il suo facoltoso lavoro in un centro di studi politici di Washington per diventare un meccanico di motociclette, accorgendosi di quanto l’artigianalità fosse fondata sulla conoscenza e sulla creatività.

Anche l’istruzione, che tende le fila della struttura lavorativa e sociale del domani, attua dei pregiudizi in materia di manualità. Questo definisce chiaramente una grande problematica del settore della carne.

Un’istruzione non istituzionalizzata non permette l’accesso di chi vorrebbe inserirsi ma non ha gli strumenti per farlo, rendendo il settore sempre più chiuso e limitato, soprattutto nei confronti della nuova generazione. Non è infatti il settore a non essere attraente ma è la scarsa disponibilità di conoscenza istituzionalizzata e accessibile a renderlo inaccessibile.

La piccola filiera della carne ha tradizioni, peculiarità e un vastissimo capitale conoscitivo, tutti elementi che la definiscono come una vera e propria comunità.

Non solo, pensiamo a quanto il sapere, anche grazie al web e ai potenti canali di comunicazione, riesce a contaminarsi senza perdere la sua essenza specifica. Il fatto che oggi chiamiamo picanha ciò che prima chiamavamo codone è frutto di un genius loci, di una peculiarità del luogo che si muove e si trasferisce.

Come sostiene Crawford, “essere parte di una comunità aiuta a superare la fatica quando si è stanchi e costringe ad imparare quando si è di fronte a un problema apparentemente irrisolvibile”.

La flessibilità della piccola filiera della carne è riconducibile alla sua forma di comunità, in cui le persone apprendono dall’esperienza e dal confronto con i propri pari e con i destinatari del loro lavoro.

Ed è proprio dalla comprensione e dalla consapevolezza di essere una comunità, dall’allevatore al consumatore finale, che si sono sviluppati i movimenti di sostegno dal basso che hanno visto botteghe e macellerie in prima linea per rispondere all’emergenza e ai bisogni delle persone.

Questo fenomeno comprende le due caratteristiche etimologiche della parola “umiltà”. Umiltà, che dal latino significa dalla terra e dal basso, corrisponde esattamente agli elementi che caratterizzano la piccola filiera della carne: una materia prima terrena che viene offerta alle persone con una vendita dal basso, messa in atto dalla piccola distribuzione.

L’emergenza ci ha aperto gli occhi sull’importanza e la bellezza del toccare con mano i benefici della propria attività, gli stessi che oggi consentono di avere un punto fermo nell’incertezza.

Le conclusioni che possiamo trarre da questa storia sono molteplici ma una in particolare può essere fondamentale per porsi delle domande, per chiedersi cosa si vuole costruire insieme per il futuro del settore. Ciò che emerge è una grande umanità, ma come si può trasferirla all’interno di un prodotto? Forse possiamo cominciare a riscoprire l’errore e l’imperfezione come il segno distintivo dell’artigianato di qualità, frutto degli esseri umani che, umilmente, dalla terra portano le loro conoscenze e le loro tradizioni sulle nostre tavole, facendoci sentire parte di quella comunità di valore che oggi più che mai ci sostiene e ci unisce.

Francesca Monti